21 Novembre 2024
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Strategie di investimento: meglio scommettere sul gestore o sul mercato?

Una delle chiavi per prendere decisioni di investimento consiste nel confrontare il comportamento di uno strumento rispetto all’andamento dell’indice di riferimento (cd. benchmark), ossia rispetto ad un parametro rappresentativo di un determinato mercato o settore.

Una volta stabiliti i propri obiettivi, orizzonte temporale, tolleranza al rischio ovvero definita la strategia d’investimento da perseguire, l’investitore si trova di fronte alla necessità di implementare quest’ultima attraverso la scelta degli strumenti finanziari più efficienti. Nel fare ciò si trova inevitabilmente davanti a una questione: utilizzare strumenti a gestione attiva o passiva?

Iniziamo facendo chiarezza sul significato delle diverse gestioni.

 

Cosa significa gestione attiva?

Il gestore attivo persegue l’obiettivo di sovraperformare il benchmark di mercato attraverso una composizione del fondo che si discosta, a vari livelli, da quella dell’indice di riferimento, basandosi su proprie view di mercato. Ciò che diventa fondamentale in questa strategia di investimento è la capacità del gestore di selezionare i singoli strumenti da inserire in portafoglio e la capacità di individuare il momento più opportuno per effettuare l’investimento. In altre parole, investire in chiave attiva significa scommettere sulle capacità del gestore di individuare i movimenti di mercato futuri e di sfruttarli a vantaggio dell’investimento, ovvero assumere delle scommesse rispetto all’andamento del mercato.

Dunque, in questo caso, non vi è perfetta coincidenza tra l’andamento del mercato e l’andamento dello strumento utilizzato, quest’ultimo si discosterà in positivo o in negativo a seconda delle scelte del gestore. La strategia attiva viene generalmente utilizzata dai fondi comuni d’investimento collocati da intermediari tradizionali come banche e reti.

 

Cosa significa gestione passiva?

La gestione passiva, contrariamente alla precedente, mira a replicare fedelmente la composizione dell’indice di riferimento (benchmark di mercato), scelto dall’investitore.

In questo caso non si realizza quindi una scommessa rispetto all’andamento del mercato ma una replica dello stesso. Questa strategia è adottata dalla maggior parte degli ETF – Exchange Traded Fund, i quali delegano interamente la selezione degli investimenti ai criteri stabiliti per la costruzione del benchmark: in altri termini si realizzerà una coincidenza quasi perfetta tra il benchmark e lo strumento utilizzato (ETF passivo). Gli ETF sono liberamente acquistabili sui vari mercati internazionali, senza necessità di intervento di specifici intermediari per il collocamento.

 

Le principali differenze tra queste strategie riguardano i diversi costi di gestione che gravano sugli strumenti e la loro volatilità.

 

Tendenzialmente i costi che gravano sugli strumenti gestiti attivamente sono più elevati in quanto da un lato devono remunerare l’attività del gestore di selezione titoli e il continuo ribilanciamento dell’investimento per implementare la strategia e le view tattiche ma soprattutto devono remunerare l’attività di distribuzione o vendita da parte dell’intermediario collocatore.

 

Viceversa, gli strumenti passivi, non richiedendo particolari attività tattiche, presentano tipicamente costi di gran lunga inferiori.

Per dare un’indicazione sull’ordine di grandezza: i fondi comuni d’investimento hanno un costo annuo (detto anche TER – total expense ratio) che generalmente varia tra l’1,5% e il 3%, mentre gli ETF presentano un TER che ricade normalmente tra lo 0,05% e lo 0,50%.

 

Il secondo tema che è necessario tenere in considerazione oltre ai costi è la differente volatilità degli strumenti. La volatilità è, per definizione, una misura di scostamento dei prezzi da un valore medio ed è, in finanza, sinonimo di rischiosità. Più l’andamento di uno strumento si discosta dal benchmark, più alto risulta il suo rischio rispetto al mercato scelto dall’investitore. Questo particolare tipo di volatilità viene definita tracking error.

Uno strumento a gestione passiva avrà un rischio più prevedibile in quanto fedelmente agganciato ad un benchmark; lo strumento a gestione attiva avrà un rischio meno prevedibile in quanto ex- ante non si conoscono le valutazioni del gestore.

 

La scelta tra le due alternative è dettata quindi dalla fiducia che si ripone nelle capacità del gestore attivo e dalla convinzione che il maggior rischio assunto e il maggior costo sostenuto rispetto all’alternativa passiva vengano ripagati da un maggior rendimento ex–post. Ma siamo certi sia così?

 

Vediamo cosa dicono i numeri

Un’analisi condotta a novembre 2024 dal nostro Ufficio Studi (dati al 31/10/2024) osserva le performance dei fondi a gestione attiva rispetto al benchmark di mercato.

Questo studio mostra come i fondi azionari abbiano complessivamente sottoperformato rispetto al mercato e come, soprattutto sul lungo termine, i gestori non si siano dimostrati persistenti e non ci sia evidenza di ritorni migliori rispetto ai benchmark.

 

Lo studio è stato effettuato tramite l’elaborazione di dati ottenuti attraverso la piattaforma Bloomberg, filtrando la totalità di fondi a gestione attiva in base a criteri quali la possibilità di acquisto sulle borse dell’Europa occidentale e la replica di due mercati azionari: quello americano e quello europeo. In particolare, il raffronto è avvenuto attraverso l’osservazione di due indici nello specifico:

  • l’S&P500: il più importante indice azionario statunitense, replica l’andamento di un paniere azionario formato dalle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione;
  • l’MSCI Europe: indice azionario che replica il rendimento dei titoli azionari di mercati sviluppati europei, conta 414 componenti (al 31/10/24) e replica circa l’85% della capitalizzazione di mercato complessiva dei mercati sviluppati europei.

 

Per quanto riguarda il mercato americano sono emerse le seguenti evidenze:

Tasso di fondi che underperformano il benchmark

 

In un bacino di 540 fondi, che rispondevano ai requisiti impostati su Bloomberg, oltre l’89% dei fondi attivi non riesce a battere il mercato su un orizzonte temporale di cinque anni e quasi il 95% dei fondi attivi sottoperforma il benchmark su un orizzonte pari a dieci anni.

 

Un altro dato significativo è che di quell’11% che riesce a battere il mercato a cinque anni, solamente un fondo su tre (3% circa dei fondi analizzati) risulta migliore del mercato anche a dieci anni e questo mostra una scarsa persistenza dei risultati anche dei migliori gestori nel tempo.

 

Inoltre, oltre il 50% dei fondi non ha una storicità che arriva a dieci anni. Infatti, il tasso di sopravvivenza dei fondi attivi è molto basso. Lo sottolinea anche il rapporto SPIVA US-year-end-2023: nel breve termine (1 anno) i fondi mostrano un tasso di sopravvivenza superiore al 90%, tuttavia, sul lungo termine (15-20 anni), meno del 40% dei fondi sopravvive, evidenziando un alto tasso di chiusure o fusioni. Sempre secondo SPIVA, il basso tasso di sopravvivenza nel lungo termine implica che molti fondi vengono liquidati o fusi, spesso a causa di performance insufficienti.

 

Osservando il mercato europeo giungiamo all’incirca alle stesse considerazioni:

Tasso di fondi che underperformano il benchmark

 

In questo caso il bacino di fondi considerati si compone di 189 elementi. Come è possibile notare dal grafico, oltre il 70% dei fondi non batte il mercato su cinque anni e oltre il 90% dei fondi non risulta persistente su un orizzonte decennale.

 

Anche per il mercato europeo la persistenza dei gestori è evidentemente bassa e ciò è dimostrato anche dal fatto che solamente il 20% dei fondi che battono il mercato sui cinque anni mostra un extra rendimento anche sui dieci anni.

 

Per quanto riguarda il tasso di sopravvivenza, anche in questo caso sono oltre il 50% i fondi che non mostrano performance a dieci anni, più precisamente ammontano al 57% dei fondi considerati. Il rapporto SPIVA sul mercato europeo mostra anch’esso un tasso di sopravvivenza di solo il 56% su dieci anni.

 

 

L’indice S&P500 e l’indice MSCI Europe hanno messo a segno performance pari rispettivamente a +103% in dollari e +48% in euro negli ultimi cinque anni, e a + 239% in dollari e +103% in euro se consideriamo gli ultimi dieci anni. I tassi di sottoperformance dei fondi attivi arrivano ad essere molto significativi sia a causa di diversificazioni rispetto all’indice non premianti, sia a causa degli elevati costi che spesso vengono applicati.

 

Gli ETF a gestione passiva, grazie ad una composizione fedele a quella del mercato e ai costi di gestione estremamente bassi, hanno registrato, al contrario, performance in linea con quelle del mercato sia su orizzonti di cinque anni, sia di dieci, come mostrano i grafici sottostanti:

 

Grafico S&P500 vs ETF replicante l’indice

Grafico indice vs ETF mercato americano

 

Grafico MSCI Europe vs ETF replicante l’indice

Grafico indice vs ETF mercato europeo

 

L’incapacità della stragrande maggioranza dei fondi a gestione attiva di battere il proprio mercato di riferimento – in questo paper misurata dal nostro Ufficio Studi con riguardo ai fondi azionari America ed Europa – è peraltro una realtà ben conosciuta che riguarda sostanzialmente tutti i principali mercati sia azionari sia obbligazionari come ha dimostrato dettagliatamente anche l’ultimo report SPIVA (S&P Indices Versus Active Funds) Europe Scorecard giunto oramai alla sua decima edizione.

 

In conclusione, nulla ci assicura che il gestore attivo riesca a ottenere un rendimento più elevato rispetto a quello di mercato, anzi statisticamente i rendimenti sono nel tempo peggiori in quanto “battere il mercato”, soprattutto farlo regolarmente tutti gli anni, considerata anche la zavorra dei costi elevati, è piuttosto difficile.

 

Al contrario, i dati e le analisi presentate dimostrano chiaramente che le strategie di gestione passiva, rappresentate principalmente dagli ETF, offrono un’opzione efficiente e trasparente per gli investitori, grazie ai costi contenuti e alla replicabilità delle performance del mercato.

 

A fronte di ciò, le Società di Consulenza Finanziaria indipendenti (SCF) si trovano in una posizione privilegiata per consigliare, tra gli altri, questi strumenti senza conflitti di interesse, poiché il loro modello operativo non prevede retrocessioni o incentivi legati alla distribuzione di prodotti specifici.

L’assenza di conflitti di interesse consente di mantenere un rapporto di consulenza autentico, basato esclusivamente sul perseguimento degli interessi del cliente, permettendo ai consulenti finanziari indipendenti di valorizzare pienamente le potenzialità degli strumenti a gestione passiva all’interno dell’asset allocation di portafoglio.

 

 

 

 

Fonti:
  • elaborazione dati Bloomberg;
  • report SPIVA di S&P Global (https://www.spglobal.com/spdji/en/research insights/spiva/spiva-library/).
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