“Nel 2050 un pensionato per ogni lavoratore”, titola così il Sole24Ore nella giornata del 31 luglio 2023, in un articolo dove sottolinea l’enorme squilibrio che sta caratterizzando il nostro sistema pensionistico.
Il sistema pensionistico italiano negli ultimi decenni ha dovuto affrontare un innalza-mento dell’età pensionabile ed un tasso di natalità in progressiva diminuzione che sta comportando un forte assottigliamento della base di lavoratori contro una schiera sempre più fitta di pensionati. Per far fronte a queste problematiche, il metodo di calcolo delle prestazioni pensionistiche è profondamente cambiato: si è passati infatti dal metodo retributivo, nel quale la pensione veniva calcolata principalmente sulla base delle ultime retribuzioni percepite, indipendente-mente dalla storia contributiva del lavoratore, al metodo contributivo, nel quale l’importo della pensione viene determinato considerando l’ammontare dei contributi versati nell’arco dell’intera vita lavorativa.
Per ovvie ragioni, solitamente, la previdenza obbligatoria calcolata secondo il metodo contributivo produce una pensione sensibilmente più bassa rispetto a quella che veniva calcolata con il metodo retributivo e quindi potrebbe non riuscire a garantire il mantenimento del proprio tenore di vita dopo il pensionamento. Per questo motivo, con il D. lgs. 5 dicembre 2005 n.252, è stata introdotta la previdenza complementare che rappresenta oggi il c.d. secondo pilastro del sistema pensionistico.
La previdenza complementare permette di accantonare una parte dei propri risparmi per ottenere una pensione integrativa rispetto a quella obbligatoria. L’adesione è libera, su base volontaria e tutti possono accedervi. Tuttavia, è bene tenere in considerazione alcuni fattori.
Nell’articolo vedremo le tre diverse categorie di fondi pensione, attraverso le quali è possibile creare una pensione integrativa e ne illustreremo i vantaggi dal punto di vista sia del lavoratore, sia del datore di lavoro.