Dopo la riunione della Banca Centrale Europea che ha deciso per un rialzo dei tassi di interesse di 25 punti base, la scorsa settimana è stata la volta della Federal Reserve. Il Federal Open Market Committee (Fomc), l’organismo della Fed responsabile della politica monetaria degli Stati Uniti, ha deciso di mantenere stabili i tassi d’interesse al 5,25%-5,50%, il livello più alto dal 2001.
Le due banche centrali dunque hanno intrapreso, almeno per questo mese, strade diverse, lasciando intravedere due differenti scenari per il prossimo futuro:
La decisione della Federal Reserve è in linea con le attese degli analisti ed è stata presa in modo unanime da parte dei membri. Da marzo 2022, è la seconda volta che la Banca centrale statunitense decide di mantenere invariati i tassi d’interesse: nelle altre undici riunioni, è sempre stato deliberato un rialzo dei tassi per contrastare l’inflazione.
Come già anticipato, per la Fed questa pausa non sarà la fine della stretta monetaria, infatti la maggior parte dei governatori prevede che entro fine anno i tassi salgano al 5,50%-5,75% e, inoltre, lo stesso Powell in conferenza stampa ha affermato che bisognerà «vedere migliori risultati prima di arrivare alla conclusione». Inoltre, secondo le previsioni degli analisti, non solo il livello dei tassi potrebbe salire ulteriormente entro fine anno, ma anche l’azione restrittiva potrebbe durare più a lungo. Le stime dei governatori, infatti, indicano per fine 2024 tassi al 5,00%-5,25%, mentre a giugno le stesse stime puntavano a 0,50 punti in meno, cioè al 4,50%-4,75%.
Le previsioni di una maggior durata della stretta monetaria sono sostenute dalle proiezioni sui dati macroeconomici che puntano a pressioni maggiori sul livello dei prezzi rispetto a giugno: le attese di inflazione per fine anno sono al 3,3% (dal 3,2% di giugno).
Un altro elemento di forte interesse da parte della Fed è il livello di disoccupazione che si sta rivelando estremamente persistente, restando più basso del previsto.
I mercati hanno accolto negativamente le parole di Powell sia per quanto riguarda i titoli di Stato, i cui rendimenti sono saliti un po’ ovunque raggiungendo livelli che non si vedevano dal 2007 per i Treasury statunitensi (al 4,48%) e da 12 anni per i Bund tedeschi (al 2,74%), sia per i listini azionari che hanno chiuso la settimana registrando evidenti cali.
La lotta all’inflazione risulta quindi tutt’altro che vinta e gli investitori dovranno adeguarsi ad uno scenario con tassi più alti e mantenuti tali per più tempo del previsto.