La Cina, attenzionato speciale per la crescita dell’economia globale, continua a dare segnali poco incoraggianti. Gli ultimi dati, infatti, hanno evidenziato che in ottobre i prezzi al consumo sono scesi dello 0,2% dopo essersi avvicinati allo zero nei due mesi precedenti e sono calati, per il 13° mese consecutivo, anche i costi di produzione (-2,6%).
Le pressioni deflazionistiche abbinate a una crescita debole sono un chiaro indicatore che l’economia reale necessita di maggiori stimoli per sostenere la ripresa cinese. In un contesto di incertezza verso il mercato cinese, l’unica entità internazionale disposta a spezzare una lancia a favore della Cina è il Fondo monetario internazionale, il quale, pur ammettendo che la bilancia commerciale resta un problema, insieme alla debole domanda esterna e al fragile settore immobiliare, ha appena alzato le stime per la crescita del Pil al 5,4% per il 2023 (la stima precedente era di +5%) e al 4,6% per il 2024 (la stima precedente era di +4,2%).
Se dal punto di vista della crescita economica le prospettive non sono incoraggianti, la Cina sta intensificando il proprio dominio sulle terre rare. Pechino, infatti, sta aumentando la vigilanza sull’export di un gruppo di metalli su cui ha un controllo quasi assoluto e che sono insostituibili in molte applicazioni hi-tech, che interessano anche la difesa e le tecnologie pulite. Tuttavia, in base alle informazioni ad oggi disponibili, non si può parlare di una vera e propria stretta sulle terre rare: il ministero cinese del Commercio si è limitato a imporre obblighi di comunicazione, sia pure molto severi, da compiere “in tempo reale”, sui metalli che vengono esportati. Il provvedimento, in vigore per due anni a partire dal 31 ottobre, riguarda peraltro non solo il commercio di terre rare, ma anche di petrolio, minerali del ferro, concentrati di rame e potassio: tutte materie prime che la Cina non esporta ma di cui è prima al mondo per volumi importati.
Sul sito del ministero cinese, secondo Reuters, si legge che le nuove norme serviranno a «comprendere in modo immediato e accurato e a giudicare scientificamente lo status e le tendenze dell’import-export», al fine di «guidare gli operatori» verso scambi più ordinati, più trasparenti e soggetti a minori rischi. Nonostante gli enormi sforzi di diversificazione intrapresi dall’Occidente, che hanno portato a sviluppare l’estrazione e la lavorazione anche fuori dai confini cinesi, Pechino ancora oggi controlla il 70% della produzione mineraria. Secondo gli ultimi dati a ottobre la Repubblica popolare ha esportato 4.291 tonnellate di terre rare, con un incremento del 9% rispetto a settembre e del 19% rispetto a ottobre dell’anno scorso.
L’attenzione da parte dell’Occidente, dunque, resta alta per un settore chiave per lo sviluppo di nuove tecnologie, ma soprattutto per la transizione energetica, dove Pechino ha individuato un’importanza strategica più di tre decenni fa.